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Affrontare il colloquio di lavoro con successo

Molte delle persone che mi chiedono consigli su come affrontare un colloquio di lavoro con successo partono dal presupposto che esista una sorta di formula magica o dei trucchi del mestiere da mettere in pratica per superare brillantemente il colloquio.

È invece fondamentale essere consapevoli che un colloquio di successo è un incontro fra due parti alla pari, con due attori in gioco perfettamente simmetrici: un candidato o una candidata che offrono competenze, esperienze, tempo, energie, e un’azienda che offre lavoro, denaro, formazione, realizzazione, eccetera.

Per un colloquio di successo non devi quindi ricorrere a trucchi o risposte magiche, proverò tuttavia ad aiutarti a riconoscere alcuni dei principali segnali interni (emozioni, dubbi, pensieri) ed esterni (contesto, interlocutore, fase del colloquio) a cui prestare attenzione per stabilire e mettere in pratica la tua migliore strategia di colloquio.


Comprendere l’obiettivo dell’intervistatore

È una variabile fondamentale. Gli obiettivi di un colloquio sono diversi se incontri i recruiter di un’agenzia per il lavoro o di una società di consulenza, l’HR Manager dell’azienda o l’Hiring Manager (che potrebbe essere il tuo capo).

I recruiter sono per lo più interessati a comprendere se le tue esperienze e competenze, motivazione, aspettative e inquadramento economico sono in linea con la posizione ricercata. Non hanno un interesse specifico a valutarti, piuttosto hanno bisogno di comprendere se possono presentare il tuo profilo all’azienda cliente o se proporti altre opportunità che rispecchiano meglio le tue necessità. Hanno quindi bisogno di poche informazioni ma molto precise e la prima interazione avviene solitamente per telefono. 

Il mio suggerimento? Fatti guidare dalle domande del recruiter, instaura una relazione di collaborazione, sentiti libero di confidare anche aspetti più personali come ad esempio le tue aspettative retributive in caso di cambiamento o eventuali altri processi di selezione ai quali stai partecipando. La logica che sta dietro questa relazione è che se il recruiter comprende bene la tua esperienza e le tue esigenze, avrà un vantaggio perché potrà proporre e sostenere la tua candidatura con l’azienda, oppure ricordarsi di te e proporre la tua candidatura per altre posizioni aperte. Nel caso in cui non verrai presentato all’azienda, puoi chiedergli ad esempio se il tuo profilo rientra fra le posizioni che gestisce solitamente e, in caso contrario, di indicarti chi fra i suoi colleghi potrebbe gestire posizioni simili a quelle di tuo interesse.

Gli HR o Hiring Manager dell’azienda sono più interessati a comprendere e valutarti come persona e professionista, non come candidato/a. In particolare, per l’Hiring Manager l’obiettivo è comprendere le tue competenze tecniche, se hai dimestichezza con le attività tecniche legate alla posizione, e in che modo sei abituato/a a farle. Ti potrebbero essere presentati dei casi aziendali o delle situazioni-tipo nelle quali ti viene richiesto di calarti nei panni del nuovo ruolo e descrivere come procederesti per raggiungere un determinato obiettivo. Per l’HR l’obiettivo è comprendere quale matching può esserci fra competenze, fonti di soddisfazione, aspettative e valori che possiedi come persona e come professionista, e il contesto culturale, la mission e la vision dell’azienda.

In entrambi i casi, quanto più riesci ad essere autentico, mostrando sia le parti di te di cui vai fiero/a sia quelle di cui sei meno orgoglioso/a, maggiore è l’empatia che si crea fra di voi. Questo ti consente non solo di farti conoscere meglio, ma anche di immaginare in modo più consapevole se il contesto, il tipo di lavoro, l’azienda e i tuoi eventuali responsabili o colleghi possono avvicinarsi a quello che stai cercando.  


Le domande scomode

In un colloquio potresti dover rispondere a domande scomode. Sono quelle che generalmente ci mettono in difficoltà perché non siamo preparati a una risposta, non comprendiamo quale sia la finalità della domanda stessa, o la cui possibile risposta ci espone al rischio di parlare male dell’attuale azienda o del nostro capo. Altre volte sono domande che toccano aspetti di vita personale che non siamo disposti a condividere. Alcuni esempi: mi parli di lei, è sposato? O ancora, perché dovremmo prendere lei al posto di un altro candidato? Cosa la porta a cambiare lavoro?
In tutti questi e altri casi, essere consapevoli che in effetti potrebbero esserci delle domande che ci mettono in difficoltà, ci aiuta a prendere consapevolezza con la nostra “parte scomoda”. Solitamente le domande sono scomode quando noi per primi non siamo ancora riusciti a vedere e ad accogliere quegli stessi aspetti senza giudicarci.

Un suggerimento per affrontare questo tipo di domande è preparare una lista di domande scomode e simulare risposte e obiezioni. Infatti, essere consapevoli di quali argomenti ci mettono in difficoltà ci permette di elaborare una strategia narrativa più attenta ai messaggi che lanciamo, e a non rischiare di scivolare su qualche buccia di banana.

Può capitare però che la domanda del nostro intervistatore sia del tutto imprevista anche per noi e non sappiamo come rispondere. Cosa fare? Spesso la soluzione, anche in questo caso, è essere autentici con l’altra persona, svelarci per quello che sentiamo nel qui e ora. Se ci sentiamo spiazzati, possiamo dirlo. Se la domanda ci crea imbarazzo, possiamo dirlo. Se la domanda è indelicata (vuole avere dei figli?) possiamo chiedere al nostro interlocutore perché ce lo sta chiedendo e in che modo queste informazioni possono essere importanti ai fini del processo di selezione. Molto spesso, questo atto di svelamento verso l’altro, ci libera e ci consente di riorganizzare le idee e le nostre emozioni, aiutandoci a fornire risposte coerenti e organizzate, permettendo anche al nostro interlocutore di riorientare le domande successive.


Parliamo di soldi

Una delle domande alle quali mi capita di rispondere più di frequente è “quando posso iniziare ad affrontare l’argomento? Perché vorrei evitare di sostenere un iter di selezione, magari anche lungo, e accorgermi solo alla fine che l’offerta non è adeguata”. 
Le questioni relative al denaro, diceva Freud, sono trattate con lo stesso riserbo e lo stesso imbarazzo di quelle relative alla sessualità. Eppure in un processo di selezione è fondamentale che retribuzione e aspettative economiche dei candidati siano chiare sin da subito. Per questa ragione, non aver paura di affrontare l’argomento, anche nelle fasi preliminari di una selezione. Presta però molta attenzione a come poni le domande.

È sconsigliabile rivolgere all’azienda domande come “qual è il budget che avete a disposizione?”, “quale retribuzione annua lorda pensavate di offrire per questa posizione?”. A meno che nell’annuncio di lavoro non siano già indicati inquadramento e retribuzione (e per fortuna sempre più aziende lo fanno), tali informazioni sono riservate e l’azienda potrebbe preferire non comunicarle.
Spostate invece il focus su voi stessi e informate la persona con la quale state facendo il colloquio circa la vostra attuale retribuzione e le vostre eventuali aspettative in caso di cambiamento. Tenete presente che se state cambiando per lo stesso identico lavoro nel medesimo settore, state probabilmente andando da un competitor e quindi l’azienda sta acquistando un profilo già competente e pronto ad impiegare la sua expertise. L’azienda che vi assume conosce il mercato di riferimento e le retribuzioni dei candidati, pertanto potete permettervi di rilanciare stando sempre attenti a non tirare troppo la corda. Ad esempio, se la vostra figura professionale è scarsa e non si trovano facilmente profili come il vostro, potete permettervi di sparare alto, se invece il vostro profilo è facilmente reperibile, alzare troppo il prezzo rischia di far saltare la trattativa.
Se invece state cambiando settore, ma la posizione che andreste a ricoprire nella nuova azienda è più o meno la stessa che state occupando oggi, potreste avere un gap con il settore di destinazione tale da non motivare un incremento economico immediato ma più in prospettiva.


Approccio al colloquio: junior vs senior

Nella maggior parte dei casi, l’approccio col quale ci apprestiamo a un colloquio di lavoro è di due tipi:

  1. un momento di valutazione e giudizio dell’azienda nei confronti del candidato. Una sorta di skill test in cui il recruiter vuole testare le nostre risposte e ci riserva alcuni tranelli da evitare.
  2. un momento di valutazione e giudizio nei confronti dell’azienda. Siamo noi, come candidati, a voler testare l’azienda e capire se fa al caso nostro. Ci interessa solo ottenere il maggior numero di informazioni, poi valuteremo il da farsi.

In entrambi i casi, il modo in cui ci approcciamo al colloquio è sbilanciato su una sola delle due parti: nel primo, probabilmente diamo al nostro interlocutore la sensazione di essere in agitazione, diamo risposte compiacenti o poco assertive, cerchiamo di fare bella figura a tutti i costi. Risultato: appariamo poco autentici e trasparenti e generiamo diffidenza nel nostro interlocutore. Nel secondo caso, stiamo ribaltando i ruoli. Siamo noi a voler fare il colloquio all’azienda, probabilmente non siamo molto disposti a dare informazioni che ci riguardano, e ci sembra alquanto irrispettoso essere oggetto delle domande di qualcuno. La nostra esperienza parla da sola e siamo quindi noi a pretendere delle informazioni sull’azienda e sull’opportunità di lavoro.
Il primo tipo di approccio si riscontra generalmente in profili entry level (neodiplonati/neolaureati), junior (1-3 anni di esperienza) o in profili anche senior che si riaffacciano alla ricerca di lavoro dopo tanto tempo, in un mercato del lavoro completamente diverso da quello che avevano lasciato quando erano stati assunti. Il secondo tipo di approccio invece, è generalmente utilizzato da figure tecniche altamente specializzate o da figure senior che hanno maturato una consolidata esperienza professionale, supportata da risultati comprovati.

È importante essere consapevolI dell’approccio con il quale ci affacciamo al colloquio, perché come scrivevo all’inizio, il colloquio di lavoro è in realtà un incontro fra due parti alla pari, una che offre competenze, esperienze, tempo, energie e l’altra che offre lavoro, denaro, formazione, realizzazione. Essere consapevoli del nostro approccio al colloquio può aiutarci a centrarci ed equilibrare la relazione con noi stessi e con il nostro interlocutore, permettendoci di sostenere un colloquio con successo.

Contattami per simulare insieme il colloquio di lavoro.

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